Il canale youtube di wiatutti!

domenica 3 maggio 2015

Anche se tuona o lampa a noi non fai paura


13 gennaio 1555. Siena è assediata dalle truppe imperiali ormai da mesi. 


I tentativi di irruzione da parte degli uomini guidati da Gian Giacomo Medici, marchese di Marignano, ormai non si contano più, uno tra i più virulenti è stato sferrato proprio alla vigilia del precedente Natale, fortunatamente respinto, e giusto qualche giorno prima un intenso fuoco nemico ha bombardato la zona di San Francesco dal colle di Ravacciano, anch’esso sventato brillantemente e con soli tre caduti (tanto da suscitare le ire di Cosimo I de’ Medici, così furibondo da minacciare la destituzione del pur rinomatissimo marchese). La difesa è strenua, ma distruzione, sofferenze e stenti inauditi si fanno ormai irrimediabilmente sentire. 
Eppure, in un contesto del genere, i Senesi trovano ancora la voglia di giocare alla pugna e al pallone, i loro passatempi preferiti. 
Sentite cosa racconta Alessandro Sozzini nel suo impagabile “Diario delle cose avvenute in Siena dal 20 luglio 1550 al 28 giugno 1555”. A mezzogiorno si radunarono nel Campo molti giovani Senesi che “spogliatisi tutti in giubbone, e' fecero un grandissimo ballo tondo che empiva più di mezza la Piazza”. Dopodiché, scelti i capitani e suddivisi in due squadre, “fecero un bellissimo gioco di pallone, di due ore o più”. Alla partita assistettero anche gli alleati francesi, la cui incredulità di fronte allo spettacolo viene descritta con queste parole da Sozzini: “stavano tutti quelli signori Franzesi a vedere, e stupivano delle nostre pazzie; che pure il giorno avanti aveano avuta la batteria, e oggi facessero al pallone”. Non mancò neppure un pizzico di perfidia che inevitabilmente albergava nell’animo dei Senesi in quel particolare momento storico. “Il Bernino pizzicarolo, giovane valoroso, aveva tre giorni avanti fatto prigione un gentiluomo Spagnolo [durante il bombardamento da Ravacciano di cui si è detto], quale aveva una bella vita addosso: gli venne questo capriccio: andò per esso, e fattolo spogliare in giubbone con la sua banda rossa, e' lo fece giocare al pallone; a tale che era più mirato lui che tutti gli altri giocatori, perché era in benissimo in gambe, né ci era alcuno che facesse li corsi che faceva lui”. 
Né è finita qui, perché la “follia” dei Senesi doveva ancora sfogarsi appieno: dopo il gioco del pallone, ogni Terzo allestì la propria compagine e si dette vita ad “un bellissimo affronto di gioco di pugna: per il quale Monsignor Monluch [Blaise de Montluc, comandante dell’esercito transalpino di stanza a Siena] venne in tanta allegrezza che quasi per tenerezza lacrimava, dicendo che mai aveva visto li più coraggiosi giovani di loro. Gli fu risposto da alcuni, dicendo: Oh pensate se noi menaremo le mani contro i nemici, quando ci diamo infra noi, e la sera poi stiamo tutti amici”. 
Per qualche ora, in quei terribili momenti, i Senesi si erano divertiti, avevano fatto divertire e commosso gli alleati francesi, ma ora si tornava alla dura realtà, come narra ancora Sozzini: “finito il gioco della pugna, si sentì una voce gridare: Alle guardie, alle guardie. In un subito uscirno di piazza per pigliare l’arme, e andare ognuno ai suoi luoghi deputati”. Un racconto che svela la profonda ammirazione dell’ufficiale francese verso i Senesi per l’audacia e la dignità con cui stavano affrontando quelle settimane che avrebbero portato all’inevitabile capitolazione.
Ammirazione, tra l’altro, che Montluc aveva nei confronti di tutta la popolazione senese, compreso l’emisfero femminile. Sì perché le donne della città, di qualunque ceto sociale od età, contribuirono in modo rilevante alla sua difesa durante le angoscianti fasi dell’assedio. Lo confermano varie fonti, tra cui lo stesso “Diario” del Sozzini, ma soprattutto lo dichiara espressamente proprio Blaise de Montluc nei “Commentaires”, pubblicati postumi nel 1592 e tradotti in italiano nel 1630. In particolare nel terzo Libro di queste sue memorie, il comandante transalpino tesse lodi sperticate alle donne senesi, raccontando che non appena fu presa la decisione di opporre resistenza agli Spagnoli, “tutte le Matrone di Siena si scompartirono in tre schiere” in modo da aiutare gli uomini in tutte le necessità del momento, compresa la realizzazione di terrapieni e bastioni. A capitanare le squadre furono designate tre nobili signore come Lamia Forteguerri, Fausta Piccolomini e Livia Fausti. Complessivamente le donne così inquadrate erano ben 3.000, tutte armate di “marretti, pale, corbelli e fascine, e con simili arnesi fecero la loro rassegna, e andarono a cominciare le fortificazioni”. 
Montluc, peraltro, all’epoca non era ancora arrivato a Siena, ma narra comunque l’episodio perché riportatogli più volte dal maresciallo di Termes, il quale “asseriva di non aver mai veduto in sua vita cosa più bella”. E per dimostrare l’ardimento delle donne senesi, l’ufficiale cita un’altra circostanza: una volta preso il comando dell’esercito cittadino aveva impartito l’ordine perentorio che nessuno mancasse di montare la guardia nel posto e all’ora prestabilita. Ad un certo punto, però, un uomo rimase “impedito” e non poteva assolvere al compito; così sua sorella, che doveva essere molto giovane visto che viene definita “fanciulla”, lo sostituì infilandosi i suoi vestiti e prendendone l'alabarda. Solo il giorno dopo, a sentinella ormai terminata, ci si accorse della sostituzione, e così la ragazzina “fù rimenata a casa con molto onore, e il dì dopo desinare il Signor Cornelio la mi mostrò”. 
Non c’è dubbio insomma: a Montluc gli uomini senesi erano rimasti nel cuore per il loro valore e l’attaccamento alla città, ma altrettanto lo colpirono le donne. Dopo l’incarico a Siena, infatti, fu spedito a Roma, assediata dalle truppe del Duca di Alba, e proprio paragonando le due situazioni ebbe a scrivere: “voglio dire, che io più mi rincorerei sempre di salvar Siena, senza avere altro meco per combattere, che le Donne Sanesi, che difender Roma, co’ Romani, che ci sono”.



Roberto Cresti

Nessun commento:

Posta un commento