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giovedì 11 giugno 2015

I Medici e il Palio alla tonda (seconda puntata)


Come detto nell’articolo precedente, dopo le due gare con le riottose bufale disputate il 15 agosto del 1631 e '32, la strada per un Palio corso nel Campo dalle Contrade, finalmente con i cavalli, era ormai spianata. 

Infatti, nel giorno dell’Assunta del 1633, la Tartuca vinse la più antica carriera alla tonda documentata e poco importa che dovette domare la concorrenza di appena altre quattro Contrade che decisero di aderire alla novità (che, per inciso, forse non era proprio tale in assoluto, perché è possibile che le consorelle avessero già sperimentato nel 1605 la corsa con gli equini in Piazza, ma di questa eventuale gara non esiste alcuna prova documentaria). 
Ad essa si giunse dopo un rapido consulto operato ai primi di luglio dai deputati della Festa su ciò che era “il gusto universale della città”, ossia lo spettacolo, sostitutivo anche per quell’anno del tradizionale palio alla lunga, che poteva ottenere il maggior gradimento dei Senesi. In appena tre giorni, questi fornirono l’esito della loro inchiesta: era desiderio di tutti “che si corra dalle Contrade con i cavalli per la piazza”. Trascorsero quattro giorni e già era stata spedita la lettera con cui la Balia informava della decisione assunta, onde ottenere la necessaria autorizzazione governativa; che naturalmente non tardò, anche se ormai Mattias era lontano da Siena, precettato nella Guerra dei Trent’Anni e sostituito nell’incarico da Leopoldo, uno dei suoi fratelli. 
In poco più di una settimana, insomma, era stata concretizzata e approvata un’idea che avrebbe mutato la storia di questa città, segnato l’identità collettiva dei suoi abitanti, che forse ne stavano cercando una nuova dopo la caduta della Repubblica, e, se mi è consentito, la vita di tutti noi Senesi e contradaioli a quasi quattro secoli di distanza! D’altronde che si trattasse di un vero e proprio evento, e non di una trovata qualsiasi, lo prova anche il fatto che ad un pittore di un certo valore come Bernardino Capitelli fu commissionato di immortalarlo in un’incisione, oggi custodita presso la Biblioteca degli Intronati. L'artista rappresenta gli spettatori addossati ad una staccionata che delimita la conchiglia, altri assiepati in palchi improvvisati che girano dal Casato a San Martino, i gruppi delle Contrade, con alfieri e tamburini ben riconoscibili, sono invece dentro la Piazza, mentre cinque destrieri vengono spronati dai rispettivi fantini muniti di lunghi nerbi. E che Capitelli fosse consapevole di effigiare una novità appena introdotta, lo conferma anche l'iscrizione sottostante la rappresentazione della carriera, che inizia con queste parole: “Ecco, Signori Sanesi, il vostro Teatro ricco di nuove maraviglie”. 
Da fonti più tarde sappiamo che la vittoria arrise alla Tartuca, come accennato, mentre non è noto chi fossero le altre quattro partecipanti; di certo non l’Oca, che rinunciò alla corsa per le spese di cui era gravata in quel periodo. 
La temporanea partenza di Mattias, però, assente già per la carriera del 1633, dovette interrompere il percorso avviato e per alcuni anni, più o meno quelli in cui il Principe non fu a Siena, le fonti tacciono su altri Palii alla tonda. 
Al suo ritorno, però, la strategia iniziale mutò, e le Contrade non vennero più coinvolte nel tradizionale circuito festivo della città, legato da secoli all’Assunta, ma in un tentativo di creare prima una ricorrenza dinastica il 14 luglio, data in cui cadeva la nascita del Granduca in carica Ferdinando II, e poi addirittura una personale il 9 maggio per il proprio genetliaco. L’intento di Mattias può essere interpretato, da un lato con il sogno di consolidare il proprio prestigio personale nell’ambito dei delicati equilibri familiari, dall’altro con il tentativo di ripetere anche a Siena la stretta vicinanza instaurata a Firenze tra i Medici e il popolo, inquadrato nelle “potenze”, brigate festive a base popolare sorte nella città dell’Arno. 
Ma le Contrade e il popolo di Siena si dimostrarono assai meno malleabili e contigue al potere mediceo; dagli archivi, infatti, emergono svariate prove di quanto resistettero alla nuova linea dettata dal Governatore. Certo alla fine, negli anni quaranta del secolo, furono corsi alcuni Palii sia per il compleanno del Granduca sia per quello del Principe, ma con enormi difficoltà a convincere le consorelle a prendere parte alle feste (l’Oca ad esempio si pronunciò contro la propria adesione a quello del 14 luglio 1641 con 45 voti avversi e appena 9 favorevoli). 
Ciò non significa che le Contrade fossero ostili ai Medici, anzi in quel periodo furono sempre pronte a cogliere ogni chance offerta per uscire dal gruppo e distinguersi. Sarebbe esagerato, quindi, considerarle, almeno in questa fase storica, portatrici di un palese atteggiamento antimediceo. Più semplicemente non furono remissive né acquiescenti di fronte ad un tentativo di istituzionalizzare un evento dinastico che celebrasse la casata, addirittura con l’uso strumentale dell’ormai diffuso gusto popolare per i Palii. Dunque anche chi ha visto le consorelle come strumento nelle mani dei nuovi padroni, tese a rafforzare la politica governativa, probabilmente ha frainteso l’atteggiamento tenuto da queste nel XVII secolo. 
Il processo innescato, comunque, era ormai irreversibile: nel 1648 fu disputata l'ultima corsa per il compleanno di Mattias, nel novembre di due anni dopo si organizzò l'ultima bufalata della storia, alla presenza del Granduca e della consorte Vittoria della Rovere, a cui tre giorni dopo seguì un Palio con i cavalli che vide la partecipazione delle stesse sei Contrade, e nell'aprile del 1655 si tenne una carriera per festeggiare la salita al soglio pontificio del concittadino Fabio Chigi, papa Alessandro VII. 
Finché nel 1656 i tre Signori che già da tempo venivano eletti per organizzare le feste del 2 luglio in onore della Madonna di Provenzano, non pensarono di far correre in quell'occasione anche un Palio alle Contrade nel Campo, offrendo allo scopo la somma di 30 talleri; questo nuovo culto mariano era stato riconosciuto ufficialmente alla fine del Cinquecento e subito erano partiti i lavori per erigere la basilica che ospitasse la miracolosa immagine della Vergine, lì traslata nel 1611. Una breve relazione coeva informa che il Palio, “riuscito bellissimo e gaioso”, fu vinto dalla Torre con il fantino Simone detto Mone; ma soprattutto vi si legge: “si obbligano i magnifici signori deputati che nell’avvenire il Palio sarà corso il 2 luglio di ogni anno. Si fa obbligo alla contrada vincitrice del Palio che subito dopo conseguitane la vittoria si porti alla chiesa della Madonna in Provenzano a cantare l’inno di ringraziamento”. Grazie all'iniziativa e all'impegno finanziario della nobiltà senese si stava istituzionalizzando il Palio di luglio, che da allora viene disputato con una continuità secolare non rintracciabile in altre manifestazioni che ad esso si richiamano, ormai sparse in ogni dove. 
Una festa che si affermò, è opportuno sottolineare con forza, come incontro di due spinte: da una parte il popolo senese, al quale questi Palii con i cavalli erano ormai familiari, era già molto sentito il gusto per la competizione, e per il quale il culto mariano aveva da tempo una profonda connotazione civica. Dall'altra parte l'oligarchia cittadina, che mediante la sua organizzazione assunse un nuovo ruolo di controllo e tutela del popolo, ma soprattutto, istituzionalizzando una festività così importante e partecipata in onore della Madonna di Provenzano, riuscì a sottrarre ai Governatori medicei l'occasione, come visto tentata con una certa insistenza, di instaurare una ricorrenza celebrativa della loro casata o perlomeno del potere personale del Governatore di turno. Non a caso già a partire dal Palio del 2 luglio 1659 fu l'Ufficio di Biccherna ad accollarsi l'onere della sua organizzazione, valorizzando così il significato civico della festività. 
Quindi se è vero che i Medici alla fine del XVI secolo avevano largamente favorito e agevolato in ogni modo il diffondersi del culto per la Madonna di Provenzano, che ai loro occhi doveva sostituire, o quantomeno distrarre, la straordinaria devozione dei Senesi per la Madonna delle Grazie, poi del Voto, che incarnava l'identità repubblicana della città e aveva una pericolosa valenza politica, è altrettanto innegabile che il Palio di luglio corso in suo onore fu voluto, proposto, organizzato e finanziato dalla nobiltà senese, nonché animato dal popolo delle Contrade. Le quali sulle prime furono un po' restie ad accogliere la novità, che tuttavia divenne consuetudine in un brevissimo arco di tempo. 
Così due secoli dopo, in pieno Ottocento, il Palio sarà ormai una festa così radicata nella società cittadina da assurgere a carattere essenziale e distintivo di quel concetto di “senesità” che proprio in quella precisa epoca storica si venne affermando, simbolo dell'indole particolare e originale dei Senesi, nonché in grado di riassumere emblematicamente in sé tutti gli altri elementi che lo costituivano. E fu allora che nacque il “mito” del Palio, e non solo quello...




Roberto Cresti

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