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venerdì 19 giugno 2015

La Senesità di Roberto Cresti


Dopo un lungo cammino che ci ha portato a sviscerare alcuni elementi che nel corso dei secoli hanno meglio rappresentato il concetto di “senesità” - ovviamente a nostro giudizio e ben consci che molto altro si poteva aggiungere - giungiamo infine alla conclusione del discorso, focalizzando l’attenzione sul momento in cui tale concetto si è strutturato ed ha preso sostanza nella forma che ancor oggi sembra caratterizzarlo, nel bene e nel male. 




Ciò avvenne nell'Ottocento, specie durante il periodo risorgimentale e post-unitario, quando la necessità di costruire un’identità nazionale, con una sua coscienza e un consenso forte intorno a coloro che avevano reso possibile l’unità, operazione complessa in un paese dove per secoli ne erano state elaborate a bizzeffe, produsse un modello culturale imperniato sul periodo medievale, l’unico in cui tutti i territori d’Italia potevano identificarsi. Un recupero del Medioevo, specie dell’età comunale, avvenuto in ogni forma espressiva, dal teatro alla pittura, dalla letteratura all’architettura, che inevitabilmente dette slancio ad una città, Siena, che la sua età dell’oro l’aveva vissuta quasi esclusivamente allora. 
Un primo segnale di questa nuova tendenza è possibile coglierlo sia nei diari ottocenteschi lasciati dai viaggiatori forestieri del Grand Tour, di passaggio dalla città, sia nelle successive, primordiali, guide turistiche della stessa. Testi dove l'immagine di Siena e dei suoi abitanti mutò in modo significativo rispetto ad un passato anche piuttosto vicino: non più il borgo decadente, un po’ plumbeo e scarsamente popolato, dalla grande epopea passata ma ormai lontanissima e irripetibile, quanto, viceversa, una città d'arte tra le più importanti d'Italia, con monumenti unici e opere di eccezionale valore, cui si assommavano altri elementi di pregio, quali la salubrità dell'aria o la purezza della lingua. 
La “senesità”, dunque, venne intesa come il necessario legante tra la grandezza dell'arte senese e i caratteri sociali, morali, culturali della città, senza di cui quella straordinaria esperienza artistica e architettonica non ci sarebbe mai stata. Ed anche se, come naturale, ogni autore offrì il proprio, personale, punto di vista sulla città, la rappresentazione di Siena si incentrò su alcuni luoghi comuni che, messi tutti assieme, costruirono un’immagine unitaria. A partire, per i motivi accennati, dalla rivalutazione del suo carattere prettamente medievale e gotico, che si sostanziò sia nella riscoperta e nel riconoscimento “dell'arte primitiva”, con Duccio di Boninsegna, ad esempio, che da artista poco più che locale, assurse al ruolo di figura di spicco della scuola pittorica del Due-Trecento “italiano”, sia nella “forma urbis”, che con i suoi chiassi, le piazze, i palazzi, rimandava inequivocabilmente all’età del massimo splendore cittadino, dopo la quale sarebbe rimasta incontaminata da correnti artistiche e architettoniche successive; stereotipo, peraltro, lontano dalla realtà. A questo si aggiunse il ruolo storico giocato da Siena in quel periodo felice e illuminato, fieramente ghibellina (finché lo fu...) e strenua antagonista della guelfa Firenze, ben più grande, potente e ricca, una sorta di Davide contro Golia, considerazioni da cui trasse origine anche il mito di Montaperti, ancora oggi, nel sentire comune, autentica colonna portante della “senesità”. Infine un ultimo elemento fondante, il temperamento dei Senesi, quasi inevitabile conseguenza dell'aspra e gloriosa storia cittadina. Essi vennero rappresentati come gentili, di grande civiltà, dal linguaggio dolce, fluente e perfetto; ma soprattutto fieri di un antico valore e di propensione bellicosa, peculiarità che trovavano la loro massima espressione nel Palio delle Contrade, la festa per antonomasia della città. Un gioco con poche norme, ma tanti valori condivisi, che finì per diventare la rappresentazione aggiornata di un presunto carattere di “senesità”, ma anche la metafora positiva del conflitto economico, sociale e politico in atto nella cultura liberale del XIX secolo. 
In una recentissima pubblicazione Duccio Balestracci afferma che il mezzo più diretto per “far vivere” il Medioevo a chi viveva nell’Ottocento, e aveva la necessità di creare una nuova e condivisa identità nazionale, fu quello di “coinvolgere la popolazione nella manifestazione più corale della comunità, cioè la festa. Se essa riattualizza ritualmente il tempo passato e/o singoli episodi di esso, indossare alla festa la calzamaglia o la corazza di latta è il modo più facile per legare memoria condivisa, sospensione del tempo ordinario e identità ricercata”. Ancor più in un’Italia dagli impressionanti tassi di analfabetismo, con larghissimi strati di popolazione che difficilmente potevano essere intercettati da un modello culturale basato sulla tradizione scritta e sui libri (nel primo censimento del Regno d’Italia, che fotografò la situazione al 31 dicembre 1861, la media degli analfabeti si attestò al 75%, con punte del 90% nel Meridione). Ma mentre da altre parti ci si ingegnò con giochi, giostre, cortei e rievocazioni più o meno reinventate, e non di rado inventate del tutto, Siena divenne un caso emblematico, un vero e proprio paradigma, perché la sua festa ludica, che coinvolgeva e animava tutta la città, mediante la partecipazione delle Contrade, l’aveva ormai da secoli, senza dover escogitare alcunché. 
Con un problema, però, su cui ci siamo volutamente soffermati negli articoli precedenti: il Palio alla tonda delle Contrade era nato in pieno XVII secolo, per cui né lo svolgimento della carriera né, tanto meno, l’apparato scenico che faceva da contorno alla medesima, alludevano in alcun modo all’età medievale. Occorreva medievalizzare la festa, e dunque si cominciò a far passare l’idea e a sostenere che le Contrade erano le dirette discendenti delle compagnie militari, luogo comune talmente duro a morire che ancor oggi torme di Senesi pensano ancora che sia vero. Di più, alcune di queste vennero addirittura menzionate per il coraggio dimostrato dai loro uomini nel trionfo montapertino, creando così un legame tra le Contrade e la battaglia sull’Arbia davvero improponibile. La stessa corsa venne indicata come erede dell’antichissimo palio alla lunga, altro aspetto discutibile che abbiamo cercato di chiarire. Così si spiega perché negli anni Settanta dell’Ottocento le monture della Passeggiata storica cominciarono ad assumere una foggia medievale (di un Medioevo “allungato” fino al Cinquecento), e pian piano vi si introdussero figure o gruppi che rimandavano al periodo comunale della città e alla gloria repubblicana. Tutto questo per creare un’identità medievale anche al Palio, e avvalorare l’idea che l’antico e mai sopito spirito civico dei Senesi si fosse tramandato ininterrottamente fino al tardo Ottocento. 
Si voleva, insomma, mandare un messaggio ben preciso, ancora oggi assai presente nell’immaginario collettivo: i Senesi moderni sono i pronipoti di quei virtuosi cittadini che specie tra XIII e XIV secolo avevano reso grande la loro città, avevano dato linfa e combattuto per la sua libertà, coraggiosamente difesa a Montaperti dalla tracotanza dei Fiorentini, e il Palio altro non è se non la rituale riproposizione di quel periodo, di quell’identità e di quei valori. 
In conclusione, questi sono, a nostro avviso, i principali ingredienti della senesità plasmata nel tardo Ottocento, che si è trasmessa fino ai nostri giorni quasi inalterata; molti di loro autentici e genuini, altri un po’ forzati, alcuni inventati di sana pianta.



Roberto Cresti

1 commento:

  1. Bellissimo percorso della memoria e dunque ringrazio Roberto Cresti. Nella mia conoscenza della storia senese mi mancava il fatto che la moderna senesità fosse stata costruita a tavolino nel XIX secolo... MOLTO INTERESSANTE DIREI - e, in fondo, anche molto in linea con certi miei pensieri e convinzioni - ma, a questo punto, mi sorge spontanea una domanda dato che l'autore dell'articolo ci lascia col fiato sospeso:
    Cosa e come DOVREBBE essere la VERA senesità?
    (io, molti mesi fa, lanciai un sasso affermando che "Siena non è il Palio")

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