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giovedì 8 ottobre 2015

Il derby

La casa sorgeva esattamente un passo dopo la fine del bosco. La grande radura dietro al fienile era interamente occupata da lunghi filari di viti verdi, dalle quali pendevano grossi grappoli scuri a forma di triangolo. Le nuvole appollaiate intorno alle vette degli Appennini annunciavano l’arrivo dell’autunno, mentre il vento salmastro riportava alla mente il ricordo del mare. La nebbia mattutina lambiva il confine delle proprietà, nascondendo alla vista il borgo di Santarcangelo, la cui presenza era più una sensazione che una certezza, come la luna durante una notte nuvolosa.



Il padrone di casa non aveva amici, scendeva di rado in paese e passava le notti ad osservare il cielo. La vigna e la cantina erano le sue uniche passioni e un buon bicchiere di vino rosso, consumato alla sera davanti al camino, il suo unico vizio. Sua moglie, la sola donna che avesse realmente amato, se n'era andata una mattina di tanti anni prima, sconfitta da un male rapido e misterioso mentre il figlio, luce dei suoi occhi e carne della sua carne, aveva deciso di scappare a Bologna, per inseguire il sogno di diventare scrittore. Al vecchio non rimaneva altro che il podere. Lo abitava da sempre e prima di lui lo avevano abitato il padre, gli zii e i nonni. 
Gli abitanti del posto chiamavano quel luogo "Gioveto" e l’anziano contadino era per tutti il “vecchio di podere Giove". La vigna ogni anno si dimostrava generosa e il mosto ricavato dalla spremitura degli acini produceva un vino dalle tinte profonde, caldo e dissetante. Tutti in zona lo avevano assaggiato almeno una volta nella vita e tutti in zona lo chiamavano, per via del colore e della provenienza, Sangue di Giove. 
Dopo tanti anni di fatiche, il vignaiolo era ormai vecchio quanto le sue viti e la pelle della faccia non aveva più posto per altre rughe. Sentiva che la candela della vita era tenuta accesa da una fiamma flebile e intermittente. Pensava spesso all’amata moglie e gli mancava da morire. A dispetto dell’età, nelle notti di ottobre si attardava in cantina fino alle prime luci dell’alba e il riverbero dei vecchi lampadari a petrolio era facilmente visibile anche dal fondo della valle. Il Sangue di Giove era il suo più grande capolavoro; o per lo meno lo considerava tale. Forse era veramente il suo lasciapassare per l'immortalità, come gli aveva suggerito tanti anni prima Don Cosimo, il parroco del paese in cerca di vino per la messa. 
Negli anni suo figlio aveva abbandonato gli studi, preferendoli al commercio, e aveva iniziato a far assaggiare il vino del babbo a chiunque gli capitasse. La voce si sparse in fretta. Bolognesi, Reggiani, Fiorentini, ben presto in molti conobbero il Sangue di Giove. In tanti si presentarono di fronte al vecchio, ma nessuno con l'intento di acquistare la fattoria: tutti chiedevano un bicchiere di vino e una vite. Il vecchio accoglieva tutti: raccontava la sua storia, offriva un bicchiere, tagliava un tralcio dalle sue piante migliori e lo regalava sorridendo, scoprendo una dentatura irregolare e consumata dal tempo. In cambio non chiedeva mai nulla. Soddisfatti gli avventori riprendevano la propria strada, chi scendeva in Romagna, chi scollinava in Toscana. 
Il ricordo del vecchio non si perse negli anni, ma nel tempo mutò il nome. La coltivazione delle viti Giovesi, che davano un vino rosso come il Sangue, si estese velocemente in tutto in centro italia. A nord dell’Appennino, in terra di Romagna, la leggenda del vecchio fu tramandata da padre in figlio e celebrata ad ogni apertura di una bottiglia di Sangiovese. In Toscana invece le viti del vecchio mutarono il nome a seconda del luogo: nel tempo divennero Brunello, Prugnolo, Morellino e un barone di Ferro, chiantigiano di Gaiole, se ne servì per inventare il più classico dei vini italiani. Il sogno del vecchio contadino si era finalmente avverato: le sue viti, partite per caso dalle colline romagnole, avevano raggiunto l’immortalità
Santarcangelo - Siena non è una partita qualunque. È un derby; bello e buono. Un derby tutto italiano, nel quale gli Appennini fanno da spartiacque a due mondi diversi di intendere il vino e forse la vita. Santarcangelo - Robur è il derby del Sangiovese. Partito da un piccolo podere adagiato dolcemente sui fianchi delle ultime colline appenniniche, è arrivato in terra di Siena portato dal destino. Qui si è adattato al clima, ha combattuto il campanilismo delle genti ed ha prodotto frutti generosi, diventati leggenda. Siena, una delle cinque capitali mondiali del vino, incontra Sant'arcangelo di Romagna. Come se San Giovanni Rotondo incontrasse Pietralcina, nel derby di Padre Pio.
Nel mentre il calor del sole si fa vino, è giunto il momento. Non importa chi siamo, come siamo o con chi siamo. Noi siamo il Siena e lotteremo come sempre, fino alla fine. E magari a fine giornata ci troveremo a brindare felici. Davanti ad un tramonto incendiato, un vigneto ingiallito e un bicchiere di vino appena svinato, regalo di un contadino testardo e sognatore che ha regalato l'immortalità alle terre senesi.

Tutti uniti insieme avanzeremo.



Mirko

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