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martedì 1 dicembre 2015

Donne

Qualche giorno fa l'ennesimo pezzo di alto giornalismo (e di grande sensibilità soprattutto, a parer mio) di Daniele Magrini ha apportato una nuova luce sulla riapertura del caso David Rossi.
Come avrete notato, personalmente ho preferito (e preferirò) rimanere molto distaccato dalla tragica questione, chè mi pare in continuo divenire: ogni mia parola, così lontana dalla conoscenza approfondita degli avvenimenti, sarebbe di cattivo gusto.
Tuttavia, come tutti voi, non solo mi son fatto una idea interpretativa dei fatti (anche osservando qualcosa che nessun altro ha finora mai notato, ma è meglio lasciar perdere...), ma leggo quotidianamente gli interventi, più o meno azzeccati, che ormai tutti, disponibile una tastiera e qualche indice che ci batte sopra, si sentono di produrre.
Mi fanno assai pena - questo sì, è l'unico giudizio che posso fornire ad oggi - coloro i quali sono passati nella schiera dei giustizialisti/complottisti, attraversando in un sol balzo il Grand Canyon del trasformismo. Ma camperemo uguale.
Nel pezzo di Daniele, a mio avviso, spiccano evidenze originali.
Parlo anzitutto della cura e della tutela di una donna, che evidentemente Siena ha abbandonato - volutamente - alla propria battaglia, che è quella di una persona in lutto, in cerca della verità: la vedova Rossi, Sig.ra Antonella Tognazzi. In un rigurgito di becero pressappochismo, il nostro borgo (anzi, la "città finta", come la definisce Daniele), elevando alle soglie della beatificazione la Sig.ra Selvaggia Lucarelli nella querelle con Francesco Giusti, dimentica in un angolo la moglie di Rossi. Daniele ci fa capire come ciò possa rientrare in una precisa strategia mediatica e politica, consistente nell'andare a parlare di altro rispetto alla questione oggettivamente importante; e noi ci crediamo fermamente, anche perché sul tema (immodestamente) qualcosina tentiamo da anni di parlarne anche su Wiatutti.
La grande novità dell'articolo di Magrini, tuttavia, a mio avviso risiede nel messaggio che invia, di rimando, alla "città vera" (mie virgolette), direi quasi alla "città non smart" (mie virgolette): a tentare cioè di intepretare il dolore, il senso di solitudine, la rabbia di una vedova, che si sente sola in città e che percepisce la propria ricerca difficoltosa come lo scalare una montagna.
Esiste cioè - questo l'insegnamento di Daniele - una via di comunicazione che non urla di continuo, che non svalvola, che non esige consenso forzoso intercettando tutto ciò che la pubblica opinione vuol farsi sentir dire. Esiste anzi un giornalismo "umano", che cioè decide di tutelare le difficoltà delle persone e di donare dignità al loro dolore.
Mi viene da estendere, nella mia nullità cosmica, infine questo imput di Daniele ai cittadini non finti che ancora spero popolino il borgo: capisco che sia molto più semplice avventarsi su vicende di basso livello, in equilibrio fra gossip e cafonismo reale, ma balza all'evidenza anche un altro spazio (quello di Daniele), che definisce la sensibilità delle persone e che, a mio avviso, deve essere appunto tutelato, anche oltre la forza iconoclasta delle proprie convinzioni.
Daniele dimostra insomma, ancora una volta, come muovendo la penna verso uno stile pregno di cultura, rispetto e buon gusto, il messaggio arriva meglio alle anime di chi legge.
Nel nostro piccolo, vorremmo sostenere questa linea e, da lontano, incoraggiare la Sig.ra Tognazzi a proseguire verso la via della Verità.

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