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mercoledì 12 ottobre 2016

L'ultima vittoria

Così a distanza d'anni aprì la mano e aveva tre monete d'oro finto.
Forse per questo non sorrise. Forse per questo non disse "ho vinto"…
Verso occidente, il quartiere dei Cappuccini è separato dal quello di San Prospero da una piccola e tortuosa gola, stretta fra ripide pareti di tufo ricoperte di vegetazione e divisa a metà da una striscia d’asfalto, che costeggiando parcheggi e distributori, conduce fuori città. Sul lato destro, Via della Collinella s’inerpica su per il crinale, squarciando diagonalmente il declivio dal basso verso l’alto, prima di piegare sgarbatamente a destra all’altezza delle prime abitazioni.
A notte inoltrata, una piccola Polo viola risaliva il pendio a bassa velocità, illuminata dalle fredde luci arancioni dei lampioni nascosti dalla chioma degli alberi, mentre l’aria fresca delle prime ore del mattino premeva sui finestrini. All’interno un ragazzo e una ragazza soppesavano ogni singola parola, timorosi di commettere un passo falso in quello che aveva tutta l’aria di essere il primo appuntamento.
"Dove mi porti?", domandò lei guardandosi intorno.
"Esattamente qui", rispose il giovane, arrestando l’automobile sul ciglio della strada a pochi passi dalla fine della salita. "Adoro questo posto", continuò indicando la vista del centro storico addormentato. "Di notte sembra un presepe".
La ragazza rimase qualche secondo in silenzio a fissare uno scorcio di città, del quale ignorava l’esistenza. Dagli altoparlanti dello stereo, una radio locale trasmetteva “Mi manchi” di Vecchioni.
Il ragazzo rimpianse di non avere una birra da portarsi alle labbra, per riempire il silenzio che stava lentamente scendendo tra di loro, mentre le parole stentavano ad uscire. Improvvisamente, come a salvarlo dall’impaccio in cui era caduto, la protagonista della canzone “fece oplà e fu un opplà da rimanerci incinta”. All’unisono i due ragazzi, cogliendo perfettamente il senso della frase, scoppiarono a ridere.
Tornando seria, la fanciulla chiese: "Senti, ma questa macchina oltre ad essere buffa è anche veloce?".
"Perché?", chiese dubbioso il giovanotto.
"Perché mi piace la velocità e adoro il brivido…".
Cogliendo la palla al balzo, il ragazzo la fissò dritto negli occhi e ribatté sicuro: "Se ami il brivido, togliti la maglietta."
Maliziosa, la ragazza sgranò i perfetti occhi color nocciola con finta incredulità e lanciando uno sguardo di sfida al suo cavaliere, obbedì. Il cuore di lui, intrappolato all’interno della cassa toracica, dopo un impercettibile rallentamento iniziale, cominciò a battere vorticosamente. In preda all’eccitazione, avviò il motore e imboccando via dei Cappuccini nel punto in cui diventa sterrata, provò a perdersi nel verde.
Nel frattempo, alla radio la canzone aveva lasciato spazio alla replica del notiziario: la voce familiare dello speaker informava che, per quel 2004, l’ambito riconoscimento cittadino conosciuto come “Il Mangia” sarebbe andato al presidente della Mens Sana. Pur non vedendolo in faccia, la ragazza si rese immediatamente conto del repentino cambiamento di umore del suo accompagnatore, che contrariato dalla notizia, stringeva con forza il volante dell’automobile fino a farsi diventare bianche le nocche della mano. Slacciando la cintura di sicurezza, cercò nel suo collo il punto esatto in cui inizia la barba e vi appoggiò le bocca, sentendo sulle labbra la tensione dei nervi contratti. Le ultime parole che riuscì a percepire prima che l’aroma muschiato del suo profumo le riempisse le narici fu “maledetti bastardi…” anche se la sensazione che la frase non fosse conclusa, le rimase dentro per tutta la vita.
Anni dopo, il microcosmo di quei due ragazzi non c’era più. La loro storia si era consumata in un soffio, come le candela del duomo accese dai credenti e di quella notte non rimaneva altro che un lontano ricordo, pronto a saltar fuori nelle notti insonni, intrise di nostalgica malinconia. Dopo la fine della loro fugace relazione non si erano più sentiti e una vita dopo, non erano nemmeno amici su Facebook.
Tornando a casa dal lavoro, “il ragazzo della Polo viola”, diventato nel frattempo uomo, infilò la chiavetta nella presa USB e fece scorrere i titoli delle canzoni sul piccolo schermo del cruscotto, prima di selezionare un brano che non ascoltava da tempo ma che aveva adorato da ragazzo. Immerso nella musica, colse l’occasione offerta dal semaforo rosso per sbirciare il telefono, ma proprio nel momento esatto in cui Vecchioni racconta “e quando dodici anni fa uscì dal bagno” il piccolo dispositivo iniziò a vibrare all’impazzata. Sul display comparve un numero vagamente familiare ma non presente all’interno della rubrica. Dopo il pronto, la voce dall’altro capo della linea lo risucchiò indietro di secoli. Da un punto preciso di una vita precedente, la voce della “ragazza del brivido” incontrava nuovamente le sue orecchie. "Ciao, sono io!", gli disse senza nemmeno presentarsi, certa che l’avrebbe riconosciuta. "Scusami se ti chiamo, ma ho sentito una notizia che mi ha colpito, facendomi tornare in mente quella sera di tanti anni fa. Non so perché, ma sentendola mi è venuta voglia di parlarti. Quel signore del premio, ricordi? Quello del basket che vinse il Mangia. Beh, dice sia stato radiato...".
Immerso nel traffico, il ragazzo tornò immediatamente con la mente ai Cappuccini, mentre fra di loro calava nuovamente il silenzio e ancora una volta mancava una birra. Nel vortice di emozioni che gli attanagliavano lo stomaco, parlando più a se stesso che a lei, finì la frase rimasta in sospeso per tanti anni: “Brutti bastardi, chiedete scusa a De Luca!”. E attaccandosi al clacson, spaventò una comitiva di Giapponesi in attesa di attraversare la strada. Dopodiché si sentì stranamente esausto.
Sfinito da un potere mafioso che senza sparare aveva lasciato dietro sè una marea di crimini. Sfinito da un sistema corrotto che pretendeva il culo senza nemmeno invitarti a cena. Sfinito dal marcio di una cricca che per anni ha abusato in maniera scellerata del “potere temporale” ricevuto in dote per discendenza diretta o meriti corrotti, il cui solo ricordo ammorba l’aria. Sfinito da gentaglia senza scrupoli che dopo aver abbandonato il domicilio conosciuto della decenza ha trasformato il circo dei sogni in un teatrino dei burattini e nonostante tutto ancora è lì a cercare di trovare il modo di acquisire il consenso per esercitare il controllo per spartirsi il “potere spirituale” e comandare una città che non ha più niente, nemmeno una manciata di monete d’oro: finto! 
E, alzando gli occhi al cielo, cercando bene fra nuvole e stelle, esclamò: "Paolone, hai vinto un’altra volta!".

R.C. Roma – Robur Siena: 0-4. Per il momento va bene così. 

Per il futuro: Livorno Merda!

Tutti insieme uniti avanzeremo! 


Mirko

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