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mercoledì 16 novembre 2016

Il riflesso nel vetro

La pace della domenica svanì sul contropiede di Marotta interrotto dall’arbitro.
Ancor prima di udire il fischio finale, richiuse con calma il notebook argentato e, puntando le mani sulla superficie liscia del tavolo, si alzò in piedi.

Perdere a dieci minuti dalla fine, e su calcio di rigore per giunta, gli aveva lasciato in bocca un'amarezza dilagante, che presto si sarebbe tramutata in malumore.
Avvicinandosi alla finestra, notò che il giorno stava lentamente declinando in un tramonto velato da nuvole di passaggio, mentre la sua figura riflessa sul vetro della portafinestra gli restituiva l'immagine di un quasi quarantenne in affanno, con una spruzzata di bianco sui radi capelli castani ed un accenno di gonfiore all'altezza dell'ombelico. Solo la luce degli occhi erano quella di un tempo. Lasciò che quella constatazione girovagasse per alcuni secondi negli angoli più remoti della sua testa, fissando dall’alto la fila di piccoli triangoli bianchi del “dare la precedenza" dipinti sull’asfalto. Nella penombra della stanza, si soffermò sulla skyline del brutto palazzo della commenda dall’altra parte della strada, che da qualche anno riempiva l'orizzonte delle sue giornate, e, di fronte al pensiero della solitudine degli anziani, tornò con la mente all'unica persona che un tempo aveva considerato amico. Con un sospiro accese una serie di faretti nascosti nel controsoffitto e dopo aver trovato un foglio bianco e una penna nera, colori sempre belli da vedere insieme, iniziò a scrivere:

"Ciao, probabilmente ti starai chiedendo che senso ha prendersi il disturbo di scrivere una lettera a penna per poi fotografarla ed inviarla per mail, ma in fondo fra noi due quello strano sono sempre stato io, quindi non fare storie. Anche perché io (ma anche te), faccio ancora parte della “generazione puff”, quella ferma a metà tra lo sgabello dei genitori e la poltrona dei nostri figli, perciò mi viene naturale unire passato e futuro in un presente bizzarro. Anche perchè mica ce l’ho il tuo indirizzo; quindi temo proprio che sarà tutta fatica sprecata. Di solito robe come questa vengono scritte ad un morto, senza che quest’ultimo abbia diritto di replica. Io invece voglio mandartela adesso, da vivo. Almeno, se vuoi, potrai rispondere. Non ti domanderò come stai: se da oltre vent'anni non ce lo chiediamo, un motivo ci sarà. Non ti chiederò nemmeno se ti piace fare gli straordinari, se hai mai votato Forza italia, qual è la tua posizione preferita per fare l’amore o se ascolti Cesare Cremonini. Quelle sarebbero soltanto curiosità morbose da social network, e io - figurati - non ho nemmeno Facebook. Tu invece ci sei? Ora che ci penso, non ho nemmeno il tuo numero di telefono, come tu non hai il mio; tanto anche se ce l’avessimo avuto, difficilmente l’avremmo usato. Oggi ero solo in casa e mi è venuta voglia di andare a mangiare fuori, in qualche posto carino. Poi però di fronte alla porta del locale ho pensato che andare al ristorante senza compagnia è troppo fine a se stesso, come masturbarsi. E allora ho deciso di non entrare. La Robur ha perso a Cremona nei minuti finali, su calcio di rigore, che palle! Un’altra stagione di patimenti. Li segui sempre i bianconeri? Non ti ho più visto in curva, ma forse frequenti un'altro settore. Da piccoli andavamo in gradinata senza pagare niente: bastava esibire il libretto delle giustificazioni, dimostrando di frequentare le scuole medie, per entrare gratis. Facevamo il tifo per la Robur, per Gianni Bugno e ci piaceva il Milan di Van Basten. Se qualcuno ci avesse detto che nel giro di un decennio o poco più il Siena avrebbe varcato la soglia della serie A, gli avremmo risposto con una grassa risata sguaiata. Come quelle che ci facevamo al sabato sera, quando i nostri genitori ci lasciavano andare in pizzeria e noi prendevamo la margherita con la coca grande, servita nel bicchiere di vetro spesso con la scritta Lowembrau. A proposito: come sta tua mamma? Sono anni che non l'incontro in giro. Mi sa tanto che ha cambiato casa anche lei. L'ultima volta che la vidi finimmo col parlare del tu’ babbo: feci anche la figura dello scemo, perché io le cose vengo sempre a saperle dopo, non come la tua vecchia vicina. Come la chiamavamo? Già: “Persona informata sui fatti”. Quel giorno, mentre tua mamma mi parlava, fu come se un'altra pezzetto della nostra gioventù si dissolvesse nel vento. Ricordo bene la nostra adolescenza: negli anni mi sono sforzato di non dimenticare niente. E laddove non ricordo, invento. Anche perché quelli sono stati tanti piccoli momenti felici messi uno accanto all’altro. Assieme eravamo completi, perché estremamente diversi. Il bello e lo scemo. Tu mi davi equilibrio e io t’incasinavo le giornate. Piacevi alla gente mentre io la intimorivo. Anche con le ragazze era così. Ed infatti la più bellina del quartiere – quella con i capelli “capricciolosi” - scelse te. Ci lasciavi a giocare alla tedesca davanti alla porta del garage per andare a darle i baci con la lingua dietro ai furgoni parcheggiati. Non mi hai raccontato niente di lei o di quei momenti. Anni dopo - sì lo ammetto, con le donne e le prime esperienze me la sono presa comoda - quando venne finalmente il mio turno, pensai subito a te. Ma tu eri distante anni luce. D'estate ci davamo gli appuntamenti con un codice tutto nostro, non avevamo “what’s app” , quindi ci toccava utilizzare la serranda di camera: quando era completamente tirata su, significava che eravamo svegli e stavamo uscendo, lasciata a mezzo voleva dire che non eravamo ancora pronti e chiusa segnalava beghe con i genitori o punizioni da scontare. La tua finestra era la seconda a partire da destra, al terzo piano dell'ultimo palazzo della via. Ancora adesso, quando sono da mia madre, la guardo e ripenso alle partite con il Commodore 64 e ai lacrimoni amari versati dopo la semifinale di Italia 90. Chissà chi ci abita ora là dentro. Quest'estate ti ho visto in piazza mentre con la tua contrada uscivi dal Chiasso Largo: ancor più fiero e orgoglioso dei tuoi colori di quanto non lo fossi da piccolo. Ti ho sempre invidiato per questo. Smettemmo di frequentarci un giorno di giugno, senza un motivo e senza aver litigato. Non so perché, anche se negli anni ho cercato di punirmi, addossandomi tutte le responsabilità. Fu tutto molto veloce: la mattina eravamo insieme e la sera smettemmo di parlarci. Quando ci incontravamo in giro, io cercavo di mantenere un minino di intimità, chiamandoti sempre con il tuo soprannome. Tu invece nel giro di qualche mese passasti dal nome al cognome (sapendo benissimo quanto mi irritasse), per poi limitarti ad un banale "ciao". Ho sempre avuto il sospetto che tu mi abbia voluto far pagare qualcosa che ignoro di averti fatto. Crescendo sono cambiato: in tutto questo tempo ho sempre prestato più attenzioni agli altri che a me stesso, anteponendo il lavoro a tutto il resto, confondendo spesso il dovere con la felicità. Accontentandomi sempre e comunque. Di qualsiasi cosa. Tu almeno, sei riuscito a salvarti o tutti giorni vivi con il pensiero che ti manchi qualcosa? L’ultima volta, in giro per città, vedendomi alzasti a malapena le sopracciglia, in un misto di superficialità e indifferenza che mi colpì più di cento cazzotti. Ed è proprio questo il mio dilemma più grande: forse sarebbe bastata una parola per evitare questo assordante silenzio e dimostrarci che l’amicizia vera è quella che rimane immutata anche quando le persone cambiano. Indietro non si può tornare, ma in questi venti anni mi sei mancato da morire".

Fuori si era fatto buio ed il gatto reclamava la cena. Guardò a lungo il fiume d’inchiostro tracciato sulla carta e scosse la testa, prima di appallottolare il foglio e lanciarlo il più lontano possibile dal suo passato.

Cremonese – Siena 1-0: 3 punti in 4 partite. I freddi numeri non mentono mai. Ai tempi della scuola, con questa media, si bocciava.


Tutti uniti insieme avanzeremo.


Mirko

3 commenti:

  1. Bellissimo.

    Capita...anche con quelli che sono stati i nostri migliori amici...non l'avresti mai detto ma capita.

    Specialmente dopo che si accorgono che gli hai trombato la citta.

    El Cinico.

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  2. quanto può far freddo in quelle giornate che si cominciano insieme e finiscono da perfetti estranei. Giugno o agosto che sia. Non si passa da tutto a niente,da nome a cognome,da amico a 'chi quello? una volta lo conoscevo' senza un motivo. Non buono,sia chiaro,nemmeno reale,basta uno stupido motivo,anche falso va bene. La differenza poi siamo noi a farla,scegliendo di non scoprirlo. Scegliendo di non inviare quella lettera,quel messaggio o quel piccione viaggiatore. Scegliendo di condividere un dolore con dei perfetti estranei su un blog piuttosto che con la persona giusta privatamente. Indirizzo o meno. Ovviamente,'pour parler'.
    ps: fine a se stesso,nel dizionario lo indicano come: non subordinato ad altri scopi. Può mai esserci qualcosa di più bello?

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    Risposte
    1. Ma una volta non era "tutto tutto, niente niente"?
      Scherzi a parte, a volte perdersi è molto più facile a farsi che a dirsi. Come dicevano quelli la? "Destinati a perdersi, in spazi troppo piccoli, in pezzi che non puoi riappiccicare".
      E mandare quel messaggio ho paura che non cambierebbe proprio niente.

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