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venerdì 20 gennaio 2017

Il professore e la ragazza

Un’impalpabile nuvoletta bianca, simile alla polveri magiche delle streghe dei cartoni animati, si staccò dalla punta del tozzo gessetto cilindrico sfregato contro la lavagna e, scivolando lungo la superficie opaca di ardesia nera, terminò la propria corsa sul fianco della giacca del professore di italiano, impegnato a scrivere con la sua buffa calligrafia in stampatello l’argomento odierno della lezione.

Con un’occhiataccia nervosa l’uomo, ancora giovane a dispetto dell’apparenza e dei molti capelli grigi, tentò di ripulire velocemente la macchia chiara che spiccava insolente sopra al blu della stoffa, strofinandola energicamente con il dorso della mano, proprio come faceva la domenica alla fine della partita della Robur, quando tentava di eliminare dai pantaloni i residui pulverulenti e ruvidi della plastica dei seggiolini della curva, retaggio di una Serie A ormai distante, anche nei ricordi. La giornata era partita decisamente male, bofonchiò con un rantolo sordo. Dopo innumerevoli carezze, l’uomo si ritenne soddisfatto del risultato: nonostante il timido alone che ancora dimorava poco sopra la tasca destra, nessuno avrebbe notato nulla di strano nel suo abbigliamento. Tanto meno quella rompiscatole della preside.
Appoggiandosi alla cattedra, vagò con lo sguardo alla ricerca di un punto preciso, sul quale focalizzare la sua attenzione. La foto a colori del presidente Mattarella lo guardava dall’alto con occhi attenti, mentre pochi centimetri più in basso, un vecchio crocifisso di legno abbellito da un rametto di olivo rinsecchito ricordava agli occupanti dell’aula le radici storiche di un paese in piena crisi di identità, sempre più stritolato fra debiti e scandali, dove l’unica buona regola per cercare di sopravvivere era affidarsi all’eccezione. Girandosi verso i suoi studenti, passò rapidamente in rassegna la nuova disposizione dei banchi e ancora una volta si compiacque per l’ottima soluzione individuata. Di concordo con l’insegnante di economia, aveva diviso i ragazzi in base alle loro effettive capacità: a destra aveva fatto sedere i talentuosi, mentre a sinistra aveva collocato gli ambiziosi. "I primi faranno", pensava fra sé e sé, mentre "i secondi vorranno comandare". In fondo non era forse quello il destino di molti? Sprecare il proprio talento per l’ambizione di qualcun altro. Al centro, nell’unica fila di banchi singoli c’erano i migliori della classe, il cui leader indiscusso era lei: Silvia, genio e sregolatezza, ambizione pura e talento sconfinato. In assoluto la migliore studente della scuola, anche se ogni anno doveva fare i conti con i pessimi voti della condotta, eredi di un carattere irascibile al limite del penale e un’indole poco propensa al quieto vivere. Cresciuta senza un padre, era stata allevata dalla mamma e della vecchia nonna in una piccola abitazione sperduta a ridosso delle vigne sulle colline antistanti la città, vivendo una adolescenza tutt’altro che agiata. Era da sempre la più brava di tutti. Tuttavia il suo interesse per lo studio non nasceva dalla voglia di imparare, ma soltanto da una rabbia malata con la quale cercava di controbattere il rancore provato nei confronti dell’assenza di una figura paterna, alla quale imputava la colpa di averla lasciata sola a combattere una guerra contro un mondo ostile. Studiare fino allo sfinimento era il suo modo di sfogarsi e la sensazione di comando offerto dalle grandiose pagelle risultavano l’unico modo per farla sentire intensamente viva, molto più del sesso, dell’alcool o delle diverse droghe che nel tempo aveva provato ad assumere. Silvia sarebbe diventata qualcuno, pensava il professore, osservandola mentre, infischiandosene dei divieti, messaggiava con il cellulare senza neanche tentare di nasconderlo. 
"Silvia, quello che stai scrivendo è forse di interesse per tutta la classe?".
Disturbata, la ragazza appoggiò il telefono sul banco e sollevando un sopracciglio squadrò dall’alto in basso il suo professore: "Posso finire o devo andare a farlo in bagno, di nascosto?", rispose con la solita strafottenza di sempre.
L’uomo non abboccò alla palese richiesta di scontro e senza aggiungere altro afferrò il telefono da sopra il banco e tra le proteste della ragazza lo ripose sul secondo piano dell’armadietto, tra il microscopio ottico ed il vecchio pallone da pallavolo tutto sbucciato. Il docente conosceva bene quel modello di cellulare, era stato proprio lui qualche mese prima a consegnare di nascosto alla mamma i soldi necessari per acquistarlo.
"Me lo ridia!", gridò la giovane, paonazza di rabbia.
Il professore, senza nemmeno preoccuparsi di rispondere, le voltò le spalle.
"Perché devi sempre fare lo ‘stronzo’ con me?", lo incalzò, impavida, abbinando volutamente il tu ad un linguaggio scurrile. "Manco fossi mio padre!", concluse poi calcando la voce sull’ultima parola.
Come colpito da un pugno in pieno petto, il professore si voltò di scattò, incredulo. Nella sua testa turbinavano una marea di emozioni. Fuori, i primi fiocchi di neve di un inverno freddo e velenoso planavano svogliatamente versa terra, per poi scomparire immediatamente al contatto con il suolo. L’atmosfera all’interno della classe si era fatta improvvisamente attonita mentre gli studenti guardavano incuriositi ora l’uno ora l’altra, attendendo con interesse una reazione dell’uomo, che di certo non si sarebbe fatta attendere. Come se cento occhi lo stessero spiando, il prof. ebbe per un secondo la sensazione di trovarsi prigioniero dentro ad un grande acquario, illuminato dalla luce malata delle parole appena udite. Fissò per alcuni secondi la ragazza e ancora una volta fu rapito dalla familiarità di quel volto. Mentre tentava disperatamente di raccogliere le forze per affrontare la “guerra”, tornò con la mente ad un tempo lontano. Si rivide felice nel giorno del suo debutto in Serie C1 con la maglia del Siena, in casa contro l’Arezzo. Ripensò alla doppietta decisiva segnata nei minuti finali, al contratto firmato con l’Inter e alla mamma di Silvia, il suo vero e unico grande amore. In un crescendo di emozioni, rimembrò il vuoto opprimente legato alla scelta di perseguire il sogno della Serie A nonostante la gravidanza della fidanzata, il rumore del legamento che si spezzava e l’amara delusione dettata da un capolinea arrivato troppo presto, sancito dalla parole di circostanza di un ortopedico grasso e sudaticcio. Pensò alla madre di Silvia per la quale era “morto” una domenica pomeriggio quando, salendo su di un treno in direzione di Milano, l’aveva lasciata da sola in mezzo al vento, con un futuro incerto e una creatura in grembo. "Sfondo, ritorno e ti sposo", le aveva sussurrato dal finestrino, lasciando che la tramontana di gennaio portasse via quella promessa. Non era più tornato! Qualche anno dopo, guardando alla televisione un suo vecchio compagno di camera ai tempi della Primavera dell’Inter alzare la Coppa dei Campioni, aveva finalmente realizzato di essere un fallito ed era finalmente rientrato a Siena per laurearsi fuori corso in Lettere e diventare professore. Avere un figlia dispersa da qualche parte nel mondo però, non gli era mai sembrato una cosa grave. Di Silvia e sua madre, aveva perso le tracce. Fino al settembre precedente...
Tornando alla realtà, nel fissare la ragazza provò un'ondata di affetto sconosciuto e respingendo l’istinto di correre ad abbracciarla ricacciò indietro i pensieri, un attimo prima che essi diventassero parole: "Sì che sono tuo padre, bambina mia", urlò silenziosamente fino a farsi dolere le tempie. Poi, recuperata una parvenza di calma, ordinò con asprezza al ragazzo moro seduto vicino alla porta di chiamare la bidella e con voce decisa aggiunse: "Silvia, dalla preside, forza! Per quel che mi compete, il tuo anno finisce qui".

Siena – Arezzo: ovvia, si ricomincia. Io ancora mi sto chiedendo perché si sia smesso; però dice che dovrei piantarla di farmi troppe domande, e vivere un pochino di più alla “comment ça va”. La campagna acquisti non è stata molto emozionante, ma se penso a come andò lo scorso anno non posso che essere felice. D’altra parte, chi si accontenta gode... C’è un antipatico avversario da battere, un amico da ricordare e una maglia da onorare. Forza magica Robur!

Adesso più che mai.

Tutti insieme uniti avanzeremo.


Mirko

1 commento:

  1. Il derby delle barbe Moscardelli vs Marotta
    la continuità nella discontinuità
    gli acquisti via pec
    il silenzio stampa di bomber Trani
    i nuovi acquisti

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