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giovedì 2 febbraio 2017

Napoli: fra De Magistris, Saviano, Pasolini ed un turista di passaggio

Mi è capitato, nel bel mezzo di un fine settimana di svago a Napoli, di leggere una puntata della disputa Saviano VS De Magistris riguardo alle condizioni sociali in cui versa la splendida città partenopea.
Ciò mi dà l'occasione per parlare, in termini generali, di ciò che sia riferibile all'opportunità di critica ed ai modi in cui essa si concretizza.
Per capire meglio ciò di cui parlo, andate sul web (che quindi a qualcosa serve, evidentemente) a rivedere tutta la querelle fra Saviano, intellettuale di sinistra, ed il Sindaco De Magistris, politico di sinistra (o di destra - o di centro - o di niente).
Saviano è colui il quale, negli ultimi anni, ha sdoganato attraverso romanzi, interviste, scritti, conferenze al mondo intero, in tutta la sua virulenza, il problema camorra. De Magistris è colui il quale Napoli la amministra da Primo Cittadino da qualche anno e che il problema camorra lo ha toccato con mano nel corso della sua carriera da pubblico ufficiale. Io sono invece un turista, che visita Napoli ritualmente, perché ama la gente che la popola.
A me Saviano sta tendenzialmente sui coglioni, fisiognomicamente intendo; non so perché, è una cosa a pelle. Ma ciò non ha chiaramente implicazioni circa un giudizio su ciò di cui stiamo discutendo. Anche De Magistris non mi pare un mostro di simpatia ed in più, ai miei occhi, ha quella tendenza all'ordine imposto da ex PM che un po' mi inquieta. Per cui partono alla pari. Di rincorsa, ma alla pari.
Ho molto apprezzato Saviano ai tempi della prima denuncia dei fatti. Da lì in poi, il buio. Saviano vuol farsi passare anzitutto per ciò che non è: un giornalista d'inchiesta. No, è semplicemente uno storyteller, un narratore, un romanziere abile a raccontare una realtà, poiché da anni (volente o nolente) non frequenta più le strade che egli descrive, non va più a Forcella, a Sanità, ai Quartieri Spagnoli. Vive in case di lusso, pare una anche a Manhattan, con i soldi che ha giustamente guadagnato dalla vendita dei suoi libri, affermando di non poter rientrare a Napoli perché la camorra lo attende al varco. In questa maniera, la sua denuncia continua, ma senza mai, per dirla alla De Magistris, "sporcarsi le mani" in loco, in quei quartieri che racconta al mondo.
Personalmente, ho visto Napoli profondamente cambiata, in meglio. Certo, come ogni turista che si rispetti, non ho frequentato quelle periferie dove il disagio è evidente. Ma girellando per il centro storico e per quei quartieri che citavo sopra (in modo analogo fortemente problematici) e parlando con alcuni autoctoni, ho potuto capire che in molti, anche chi non lo ha votato al tempo, hanno apprezzato il lavoro di De Magistris, che ha inteso ripulire e rioccupare, anche a costo di utilizzare polizia ed esercito, porzioni di territorio sempre più ampio. E lì sono iniziate a crescere attività, sia commerciali che di tutela sociale, volte a valorizzare le immense ricchezze di cui è dotata la città. Si nota cioè una vera esplosione a livello turistico, con gente da tutto il mondo che ha ricominciato a frequentare il capoluogo campano, portando movimento, denaro, vita. In tutto ciò vi è un merito indubbio di De Magistris, mi pare abbastanza chiaro. Così come mi sembra palese che un solo uomo, in pochi anni di mandato, non possa sanare problemi esistenziali delle periferie povere di una città complessa come Napoli. Eppure Saviano è sempre lì, a denunciare, a far notare, a far capire cosa c'è che non va.
Alla fine dei giochi, quale è il risultato prodotto dalla denuncia di Saviano? Nessuno.
Anzi.
Saviano propone un contesto senza alcuna speranza di risoluzione, un presente ed un futuro talmente fosco da non poter essere cambiato. Una critica talmente catastrofica da dipingere un mondo inemendabile, quindi inamovibile, in cui non è possibile fare niente, dove tutto è già scritto. Rischiando alla fine di assolvere di fatto il mondo che si critica, poiché di fatto si neutralizza la possibilità del superamento di quello stesso mondo, non dando in mano a chi legge gli strumenti per risolvere la questione. Saviano in questo (ed anche in altro, a onor del vero), non è Pasolini, non è Moravia, non parla alla povera gente mischiandosi in essa, non riconosce una possibilità di sviluppo o di salvezza. Tutto è ineluttabile, quindi non risolvibile. La camorra esiste e sempre esisterà, quasi fosse un postulato. E su di essa si scrive, si guadagna, si osserva dall'alto verso il basso, mentre altri (che non sono il narratore) si sporcano le mani.
L'atteggiamento di Saviano è un monito per tutti noi, critici di professione. Alla basilare individuazione delle problematiche deve corrispondere una speranza, una proposta di una possibilità altra: solo così un narratore può davvero definirsi rivoluzionario.

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