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mercoledì 31 maggio 2017

De Luca in funzione di Trasformatore

Siamo lieti oggi di pubblicare il primo "atto" della Leopoldella deluchiana del 26 maggio.
Ci è stato difatti richiesto a gran voce, sia dai presenti che dagli assenti, di poter sapere ciò di cui si sia discusso all'incontro. Questo il primo contributo, prima parte dell'intervento di Marco Bianciardi.

1.1 Cos’è un Trasformatore?

Questa introduzione non c’entra nulla con il calcio, almeno non in modo diretto, ma ha più modestamente lo scopo di rivelare quel po’ di vitalità, di movimento, di intensità che l’esperienza di De Luca a Siena, come proprietario della società di calcio, ha indotto nella comunità e nella città in generale. Il calcio, dunque, come allegoria di altro. Il calcio non come accumulo di dati, risultati, imprese sportive, ma come strumento e sede di opportunità vitali celate, oscurate, censurate dagli apparenti “dati di fatto”, da consuetudini che risultano tanto radicate da apparire naturali ed immodificabili.
Dobbiamo, in primo luogo, fare astrazione dalla biografia di De Luca persona e presidente e ricavarne piuttosto la funzione – o le funzioni – che in modo più o meno volontario De Luca ha rivestito per la città.
Innanzitutto, De Luca ha rivestito la funzione di Trasformatore.
Cosa significa questo? Cosa compie effettivamente un Trasformatore? In cosa consiste una funzione trasformativa?
Ebbene, un Trasformatore aggredisce (aggredire, sì questo è il termine giusto) dall’esterno un sistema fisso ed apparentemente immutabile di elementi tra loro concatenati e, in maniera creativa, riesce a liberarvi linee di fuga fin lì censurate e rimosse, a far saltare caselle e posizioni fino a quel momento consolidate e date per scontate, soprattutto a far emergere virtualità che il sistema possedeva implicitamente (perché solo in modo arbitrario ogni sistema si realizza attraverso una forma fissa; non c’è nulla di intrinseco o di fisiologicamente immodificabile perché esso debba risultare in un modo anziché in un altro) ma che aveva scartato per garantire la propria infinita riproduzione sempre secondo la stessa forma e modalità. Lo scopo di ogni sistema consolidato, infatti, è quello di riprodurre se stesso all’infinito, di preservarsi e fissarsi fino all’alienazione ed all’autoreferenzialità più radicate tanto da apparire naturale ed immodificabile (e non, più modestamente, la semplice realizzazione di una delle tante virtualità disponibili) a chi lo abita, a chi ne fa parte.
Ovviamente, nel momento in cui viene aggredito da un Trasformatore, il sistema è messo in variazione, subisce una variazione. Inizia ad oscillare, a traballare, in una parola inizia a provare disagio. Chiaro che a quel punto cerchi di difendersi (perché il suo scopo, abbiamo affermato prima e non lo dobbiamo dimenticare, è quello di riprodursi all’infinito, di porsi e riproporsi nella forma dell’immutabilità), fino - al limite - a riuscire ad espellere il Trasformatore, ad avere apparentemente la meglio su di lui. Tuttavia questa vittoria, questa espulsione avviene sempre troppo tardi: dopo l’aggressione, a nuova virtualità ormai liberata e portata alla luce, niente potrà più essere come prima. Gli effetti dell’aggressione di un Trasformatore possono essere di lunga, anzi di lunghissima durata. La variazione che un Trasformatore riesce ad indurre all’interno di un sistema può essere paragonabile all’andamento di un fiume carsico, cioè può apparire o scomparire, rivelarsi in superficie o nascondersi sottoterra, produrre intensità momentanee ed irresistibili o sembrare irrimediabilmente debellata, ma l’attitudine che questa messa in variazione produce non può che resistere e potenziarsi. Ed è quella attitudine che porta a non accettare più la chiusura del sistema, la sua apparente intangibilità, e questo anche quando il sistema, per autodifesa ed autoconservazione, si richiude e si riconferma; è quell’attitudine che ormai ha insegnato che il sistema possa essere messo in variazione, se ne possano far emergere virtualità censurate, su molteplici livelli e nei vari campi che questo implica, anche molto lontani da quello di partenza, da quello dell’iniziale aggressione.
Dunque, riassumendo, la funzione del Trasformatore è quella di suscitare – tramite un’aggressione - nuove virtualità che giacevano sepolte in un sistema apparentemente chiuso ed immodificabile; la prima conseguenza di questa aggressione è che, a nuova virtualità suscitata e realizzata, il sistema aggredito venga messo in variazione, ossia vibri, vacilli, si spacchi e si apra, sia costretto a diventare diverso ed a mostrare tutto il peso e l’umiliazione delle sue fondamenta arbitrarie e non naturali; la seconda conseguenza è che il sistema si difenda, lotti per espellere il Trasformatore, per riconfermare la propria identità, per ribadire il suo presunto carattere “naturale”; la terza conseguenza è che, anche a Trasformatore debellato, la messa in variazione da esso suscitata comunque perduri, così come l’attitudine da questo prodotta ad amputare i punti fermi, la presunta coerenza, gli elementi stabili con cui il sistema rappresentava se stesso. La quarta ed ultima definitiva conseguenza non può che essere la perdita di stabilità, dunque di credibilità, del sistema e la rivelazione della sua variabilità infinita. Ciò che insomma prima si proponeva - e veniva anche percepito - come stabile ed immutabile, inizia ad essere percepito come un’entità che può essere sottoposta ad una messa in variazione infinita, capace di farne scaturire sempre nuove virtualità.
Ovviamente Trasformatore e sistema chiuso si implicano a vicenda, hanno necessità l’uno dell’altro. Perché la funzione di un Trasformatore sia davvero efficace, occorre che gli preesista un sistema chiuso e sempre pronto a richiudersi da aggredire; perché una messa in variazione, una linea di fuga continua, possa rivelarsi, occorre che delle virtualità da attualizzare giacciano sepolte o sia loro impedito di venire alla luce dentro un sistema chiuso.
Ora è del tutto evidente come questo impianto teorico ed in apparenza astratto rappresenti forse il modo più efficace per definire l’esperienza che De Luca ha avuto con la – ed in rapporto alla - città di Siena. De Luca è quel Trasformatore che ha portato alla luce delle virtualità che quel sistema apparentemente chiuso ed immodificabile che possiamo chiamare Siena (con le sue convinzioni radicate, con i suoi schieramenti di potere molto codificati, con le sue mitologie e le sue auto narrazioni e rappresentazioni a sostegno di questi schieramenti di potere) in realtà possedeva, ma di cui voleva dimenticarsi – e che voleva censurare - per non creare squilibri nella trama della propria identità più consolidata. All’arrivo nella nostra città, a De Luca si chiese molto modestamente di salvare il Siena da un ritorno in serie C. Lo si contestò anche – e pure ferocemente – all’inizio, perché straniero, perché napoletano, perché Altro rispetto a quelle rappresentazioni in cui il sistema si riconosceva e trovava il proprio fondamento. A nessuno sarebbe mai venuto in mente che, di lì ad un anno, non solo De Luca avrebbe salvato il Siena dal ritorno in C, ma avrebbe vinto – ed in modo straordinario, da dominatore – un campionato di serie B, facendo approdare il Siena ad un traguardo storico e mai immaginato: la serie A. Quindi, in principio, vennero formulate a De Luca delle richieste del tutto in sintonia con quei valori e quell’immagine di sé che il sistema chiuso aveva prodotto nel corso di decenni: un Siena in serie A era inimmaginabile, bastava rimanere a calcare i campi di una dignitosa serie B, tutto il resto si trovava confinato nella dimensione del sogno, dell’ipotesi irrealizzabile, al di fuori delle potenzialità della città, di quell’immagine e di quella rappresentazione che la città dava di se stessa e di cui si era autoconvinta. Ma un Trasformatore è molto aggressivo, compie in pochissimo tempo quello che per decenni viene ritenuto o narrato come impraticabile ed impossibile. L’ascesa ai massimi palcoscenici calcistici nazionali era una virtualità che evidentemente il sistema recava in sé, ma che era stata scartata non perché “oggettivamente” impossibile da realizzare, ma perché arbitrariamente pensata come poco conveniente o non interessante per la riproduzione dell’identità parziale (determinata da interessi particolaristici di particolari poteri spacciati come interessi di tutti) che il sistema aveva deciso di assumere. Quando questa virtualità è stata fatta affiorare e realizzata dal Trasformatore, ecco che il sistema ha cominciato la sua opera di difesa ed ha attivato tutte quelle funzioni in grado di garantire la sua autoconservazione. Da qui, oltre alla gioia per il traguardo incredibile che era stato tagliato, tutte le riserve sulla capacità di Siena città di assorbire la serie A, le tifoserie avversarie, il servizio d’ordine per le partite importanti, le criticità di ogni genere e specie fino alla fatidica domanda: “Ma Siena aveva realmente bisogno della serie A?”. Insomma, De Luca ha asportato punti fermi, convinzioni stabili; dunque il sistema ha reagito difendendosi ed iniziando le sue procedure di espulsione. Ma ormai era ed è tardi; da allora si è cominciato a percepire il sistema come qualcosa che potesse essere diverso: quanto successo nel calcio, del resto, poteva succedere in qualsiasi campo. Le virtualità apparentemente irrealizzabili, ma immanenti, potevano realizzarsi. Ciò che appariva fisso ed immutabile era in realtà percorso da una linea di variazione infinita. Questo il principale merito di De Luca, al di là ed oltre il calcio: far intravedere la variazione là dove tutto appariva – ma soprattutto era vissuto – come stabile, intoccabile, immodificabile.

Marco Bianciardi

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