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sabato 20 gennaio 2018

Tutti in fila dietro al tram

La strada sbuca dai colli all’improvviso, contorta e confusa come il futuro visto con gli occhi di un ragazzino, che crede ancora nei sogni e spera in un mondo migliore, ma che tutti i giorni deve fare i conti con la dura realtà di un paese che viaggia piano e a volte gli rema contro. Come una serpe d’asfalto, striscia sulle dolci rotondità delle colline prima di squarciare in due la città, attraversandola da Porta Camollia a Porta Romana, per poi continuare indisturbata a puntare verso sud.

Istituzionalmente la chiamano Cassia, in onore al console romano che oltre 2000 anni fa ne ordinò la costruzione, anche se un tempo la chiamavano Francigena. Come una coltello, taglia in due uno dei pezzi di terra più belli e famosi del mondo (nonostante tutti gli sforzi dell’uomo), unendo la Toscana al Lazio. È tutto talmente romantico che sembra una commedia americana girata al tramonto. Unica anomalia: il tracciato della strada è quello di due millenni fa. Di questo, tuttavia, non se ne ricorda mai nessuno. E la gente continua a morire.
In attesa del fine settimana, siamo tutti in fila dietro al tram. Oggi come ieri e purtroppo domani. Le cose non cambieranno, nonostante i proclami. In fila dietro al tram, aspettando che passi anche questo inutile treno, vuoto e desolato, abbiamo il tempo di riflettere. È singolare come, in un paese obnubilato dal calcio, basti l’assenza di quest’ultimo - seppur per due sole settimane - per far tornare la gente a riflettere. Mi chiedo quante rivoluzioni o guerre civili siano state sventate grazie al gioco del pallone. Come diceva la prof di Storia? Panem et circenses, mi pare. La seguivo distratto mentre ci parlava di un popolo antico che aveva fatto di queste terre il centro del mondo. Ero troppo impegnato a guardare il Duomo dalle finestre dell’aula. Anche perché per me è sempre stato quello il centro del mondo. Scusate se ho un orizzonte limitato, ma credo sia tutta questione di prospettiva. 
E il mio punto di osservazione sul mondo circostante, nel 2018, non mi pare così privilegiato. I Romani, quelli del panem etc, erano i medesimi della Cassia. No, per carità, niente a che vedere con i Romani di oggi. Tutt’altra razza. Così come forse i Senesi di oggi non hanno niente in comune con quelli che costruirono il Duomo. Spazzati via dai barbari i primi e dalla peste i secondi. Barbari appestati, ecco cosa siamo. In fila dietro al tram, abbiamo il tempo di riflettere. 
Domenica rigioca la Robur e tutto andrà a posto. No forse giocherà di sabato, ma fa lo stesso. Per qualche ora ci scorderemo dei difetti del mondo e torneremo a farci rapire dal rimbalzo di una palla gialla e dai colori di una maglia a strisce: un poche bianche e un poche nere. Ma in attesa del giorno di festa, in fila dietro al tram, abbiamo il tempo per ricordare che le cose non vanno affatto bene. 
Siamo nel 2018 e la gente continua ancora a morire lungo la strada che da Siena porta a Roma. Sì, proprio quella voluta da un tizio di nome Cassio, che attraversa un paesaggio da favola. Perché succede? In fila dietro al tram, qualcuno sbuffa, qualcun altro fuma, altri commentano le notizie del bugiardino appeso fuori dall’edicola. Da qualche parte, nascosto dentro una qualche utilitaria giapponese, c’è anche chi spippola col telefono: chissà poi cosa avrà di tanto importante da dire. No, nemmeno la propria vita ci interessa.
La gente muore sulla Cassia come in una guerra combattuta contro un nemico oscuro, spinto da una forza occulta. Lungo le banchine, nascoste da macchie di erba triste e ingiallita, decine di lapidi ci ricordano l’esercito dei caduti della follia umana. Chi andava a lavoro, chi tornava da scuola. Chi sognava di trovare finalmente la ragazza giusta, chi desiderava una pizza con tanta mozzarella, chi credeva nel Siena in Serie A. Tutti con percorsi diversi, ma tutti uniti dalla stessa fine: una sbandata, uno stridio di gomme, uno schianto. E poi l’oblio. Gli occhi si chiudono e i telefoni iniziano a suonare. E quella telefonata, arrivata nel bel mezzo di un pomeriggio, cambierà per sempre la vita di chi la riceve, anche se potrà rendersene conto soltanto dopo aver risposto. 
In fila dietro al tram la gente pensa alle elezioni. I politici parlano, si commuovono, promettono. La gente muore. E allora, poco male se passerò per antipatico, stupido o impopolare. Se riceverò un po’ di critiche o se le mie parole serviranno soltanto ad occupare un frammento di memoria in un server. Ma alle prossime elezioni, non voterò. E nessuno mi farà cambiare idea. Anarchico e menefreghista? Ci sta. Stupido e incosciente? Può darsi. Ma questa volta mi sono rotto le scatole di essere colluso con un sistema inefficiente e inefficace, popolato da sciacalli, avvoltoi ed incapaci. Se è vero come è vero che è il popolo a scegliere da chi farsi governare, io non vi sceglierò più. Perché per il mio Paese, il mio Comune o la mia Regione, voglio il meglio e non il meno peggio. Purtroppo sono un inguaribile romantico, che ancora si commuove di fronte ad un paio di belle gambe e crede nella giustizia: per me il potere dell’amore è più forte dell’amore per il potere. Non mi farò risucchiare nel vostro girone infernale, rendendomi complice delle vostre malefatte. Mi asterrò, perché è un mio diritto poter scegliere canditati decenti! Non dico gente da 8 in pagella, ma perlomeno da 6-- ce li meritiamo. E poi non voglio più farmi tentare da ciò che luccica, da oggi cercherò soltanto quello che illumina. E se non lo troverò, pazienza. Aspetterò. Tanto siamo ben abituati ad ingollare tutto, senza protestare. Dopo il governo Monti, peggior esecutivo del dopo guerra (come la gestione Mezzaroma per il Siena, tanto per fare una similitudine calcistica), abbiamo avuto la legislatura più triste della storia, con governi e governanti non eletti dal popolo, attaccati alle poltrone come rocciatori alla parete della montagna. Se negli ultimi cinque anni avete amministrato senza il mio consenso, fatelo anche per i prossimi cinque. Votare è un dovere, mi diceva mio nonno. Nonnino, mi dispiace che tu abbia sprecato i tuoi vent’anni a combattere per questo Stato, che non riesce nemmeno a costruire una strada che impedisca alla gente di cadere come mosche, ammazzata dall’inefficienza e dalla burocrazia. Scusami, ti prego, se non sono più in grado di reggere la balla a questa gente.
Chi prende più voti governa con la maggioranza assoluta. Semplice no? Cinque anni e a casa. Altro che due mandati. E se ti rivedo intorno al Parlamento ti arresto. Ogni legge, prima di essere approvata, dovrà essere spiegata ad un bambino di dieci anni: se la capisce può andare, altrimenti si riscrive. Sicurezza, infrastrutture e detassazione del lavoro: da lì occorre partire. Per il momento non vorrei altro. E con queste tre cose, riprenderebbe anche l’economia. Si creerebbe ottimismo, voglia di spendere, serenità. Strade e ferrovie. Altro che aeroporti (sai quanta gente al mattino va a lavoro con il Boing 747?). Perché non serve poi molto a migliorare la vita delle persone. E forse, migliorando la qualità della vita, migliorerebbero anche le scuole, e potremo finalmente creare una generazione di dirigenti validi, scelti tra i ragazzi degli anni 2000, che sono la vera ricchezza di questo Paese e che tutti i giorni ci ricordano che il mondo non lo abbiamo ereditato dai nostri avi, ma soltanto preso in prestito dai nipoti. Basta, ho deciso: finché la gente continuerà a morire lungo una strada costruita più di 2000 anni fa e mai rinnovata, io non parteciperò più a nessuna elezione. Toglietemi pure il diritto di voto, tanto i cazzi vostri li farete benissimo anche senza il mio avallo. 
In fila dietro al tram, nel 2018, la gente muore. Non ci sono i soldi per migliorare le strade. Ma una vita umana, quanti euro vale?
Arzachena - Siena: dopo la pausa, si ricomincia. Senza calcio si può pensare ad altro. E per i nostri politici non è una bella prospettiva. La punta alla fine è arrivata e mi assomiglia pure (stesso taglio di capelli). Benvenuto e buon lavoro! Ricordati chi prima di te ha portato quel 9: onora la maglia e rispetta i tifosi. E segna ti prego. Tanto, tanto, tanto!

Saluti baci e cordialità.


Mirko

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