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venerdì 2 marzo 2018

L'ultima nevicata

L’anno che nevicò a marzo mi pare proprio che il Siena fosse primo in classifica... Sì, da qualche parte in soffitta dovrei avere ancora qualche Fedelissimo di quel periodo.

Fu una settimana strana quella, lo ricordo ancora oggi che sono grande per davvero e la gente che conoscevo ha smesso da un pezzo di venire in curva. Nevicò due volte in pochi giorni, mi pare; la prima di domenica, durante la partita tra Robur e Olbia. Già, la Sardegna allora era ancora italiana e i bianconeri giocavano al vecchio Rastrello. La seconda nevicata invece arrivò il giovedì seguente, di notte come la morte, ed in poche ore coprì ogni cosa. I fiocchi caddero sopra i residui della nevicata precedente, che a causa del freddo di quei giorni, non si era sciolta. "La neve che non se ne va, aspetta quell’altra", dicevano i vecchi in contrada. Non erano più gli anziani del bottiglione di Rosso Antico, dei semi di zucca, e delle caramelle al rabarbaro che avevo conosciuto da ragazzo, ma sempre vecchi erano. 
La neve non la sopportavo allora e non la sopporto adesso. Rientrando in casa quella sera, trovai un biglietto sul tavolo, accanto ad una rosa rossa e un chiavetta USB. In un primo momento non feci caso al silenzio inquietante che aleggiava dentro a quelle quattro mura. Poi però, soffermandomi sulle parole del messaggio appiccicato sul tavolo, capii. Ma quel che lessi, tuttavia, non mi sorprese. Avevo una moglie al tempo, sì; e anche dei figli. Con tutti gli alti e bassi di una vita di coppia, conducevamo un’esistenza tranquilla. Lavoro, bollette e altre rotture di palle. Per fortuna c’era la Robur nel fine settimana, che riempiva gli spazi vuoti e aiutava a stare svegli. Tutto il resto era soltanto contorno, inutile ma necessario. Era la settimana delle elezioni politiche del 2018: quelle che ci avrebbero stravolto la vita, anche se ancora non lo potevamo sapere. Fa sempre uno strano effetto ripensare al passato con l’onniscienza della vita vissuta. Quelle elezioni cambiarono la vita a molti di noi, ma mai quanto quel pezzetto di carta giallo scritto a penna con calligrafia rotonda la cambiò al sottoscritto. La rosa in realtà ancora la conservo tra le pagine di un libro, schiacciata tra due fogli di Scottex. Ogni tanto la cerco e la paura di non trovarla mi stringe lo stomaco. L’altra sera è spuntata da un’edizione classica della Bibbia, uno di quei libri che nel mondo tutti conoscono anche senza averlo mai letto. Non ricordo come possa esserci finita, so solo che stavo cercando una frase di Giobbe, che avevo sentito in un film di inizio secolo e all’improvviso mi è scivolata fra le mani. Chissà perché scelse proprio la rosa, simbolo di amore profondo e appassionato. 
Mi ricordo di essere entrato in casa di corsa, stanco ma felice, come sempre dopo una giornata di lavoro. In qualche album di foto, dimenticato in quella che un tempo era casa dei miei, dovrei avere ancora il biglietto di Pro Piacenza - Siena, che avevo appena acquistato alla tabaccheria vicino Piazza e che appoggiai sul mobile dell’ingresso accanto alle chiavi. Ricordo la casa perfettamente pulita, il tavolo, le quattro sedie allineate, il televisore spento con l’occhiolino rosso ed il gatto che miagolava in terrazza. Poi c’era il biglietto, la rosa e la chiavetta. Col senno di poi, realizzai che quel momento era una sorta di spartiacque tra la mia vita di prima e quella che sarebbe nata dopo. Quella di adesso, per intenderci. O forse quella dalla quale quella di adesso è nata. Il tempo purtroppo cambia le persone. E le persone non fanno mai in tempo a fermarsi e non oltrepassare quel punto di non ritorno, dopo il quale le cose non torneranno mai com’erano. 
Il sabato successivo, durante le quattro ore di viaggio verso Piacenza, rilessi mille volte le parole del biglietto. I pallini rotondi al posto dei puntini delle "i" sembravano palloncini colorati appesi alle mani di magri bambini, tipo quelli che disegnavo all’asilo. Dalle cuffie infilate dentro le orecchie, ultimo ed eroico feticcio dei miei quarant’anni, la musica di una vecchia canzone dei Lynyrd Skynyrd tentava disperatamente di separarmi dal mondo reale. Come ultimo regalo, oltre alla rosa, mia moglie aveva scelto "Free Bird" e dopo tutti questi anni ancora mi fa un certo effetto quando la passano alla radio, che nonostante la bulimia di tecnologie ha saputo resistere alle mode ed ai cambiamenti. Così come i jeans.
Non rammento il risultato della partita del Siena, e non ricordo nemmeno come finimmo in classifica. Eravamo primi quel giorno, quello sì. "Se si va in B", mi disse il mio compagno di viaggio, "mi faccio un tatuaggio sulla spalla. Non so ancora cosa, ma lo faccio davvero. Mi garberebbe una frase di una canzone. Una di quelle che non si ricorda nessuno e che quando le senti devi sforzarti parecchio per individuare l’autore. Tipo quella: "Ti stringo le mani, rimani qui, cadrà la neve, a breve". 
A pensarci bene, fu proprio una coincidenza, dopo quell’ultima nevicata, con la quale l’inverno aveva voluto salutare alla grande l’arrivo della primavera, trovarsi a parlare di neve e di canzoni che parlavano di costruire. Soprattutto dopo che chi mi stava intorno aveva pensato bene di distruggere tutto, sgretolando le mura sulle quali poggiava la mia vita a colpi di tremende martellate, che ancora oggi arrivano alle mie orecchie con il boato sordo di una mareggiata che si abbatte sulla spiaggia. E fu così che, nonostante tutto, decisi di tatuarmi il suo nome sul mio fianco sinistro, in un punto praticamente invisibile agli altri. Fu un piccolo regalo che decisi di farle, per gli anni passati insieme, per i sorrisi, le carezze, i pranzi con i parenti, le lacrime spese e le briciole sulla tovaglia. Ma anche per ricordarmi la fonte del mio dolore. Arrivammo a Piacenza di buon’ora e ripartimmo che era quasi notte. Ma forse era sabato, o non lo so. Tanto non avevo nessuno a casa ad aspettarmi. "Ti amo e ti amerò per sempre, ma da troppo tempo io e te non siamo più noi". La frase, scolpita sulla roccia della mia stabilità emotiva, mi accompagnò per settimane, mentre la Robur ed il suo pazzo campionato funzionavano meglio di un antidepressivo…

Pro Piacenza - Siena: usciamo da febbraio con la forza del primato. Conquistato dopo una faticosa rimonta. Adesso il difficile è rimanere lassù, dove l’aria è più buona e fa fresco anche d’estate. Credo sia giunta l’ora nella quale città e provincia si rendano conto che il SIENA è primo in classifica e che oggi, come 18 anni fa, c’è bisogno di tutti per portare la barca in porto. Non ci sono carri sui quali salire o momenti da vivere solo per onorare una moda, perché quei tempi sono finiti. Adesso c’è soltanto un obiettivo: giorno dopo giorno, fare un punto in più di quegli altri. Avanti Robur!

Tutti insieme uniti avanzeremo.


Mirko

3 commenti:

  1. Molto bravo, come sempre.

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  2. "Ti amo e ti amerò per sempre,ma da troppo tempo io e te non siamo più noi",ella scrisse dopo essersi nettata le labbra,bagnate dal copioso seme del nuovo capoufficio.

    E.C.

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    1. E.C. più che una firma sembra il risultato di un brutto raffreddore. Salute.

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