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venerdì 27 ottobre 2017

Il gioco della sedia

Il passaggio dall’estate all’autunno porta sempre con sé enormi stravolgimenti: le temperature diminuiscono, le giornate accorciano e le foglie degli alberi, dopo aver virato dal verde al giallo, si staccano dai rami e cadono a terra, spazzando via ogni ricordo della bella stagione. Nelle case si riaccendono i riscaldamenti, la mattina la nebbia avvolge ogni cosa e forse si fa meno all’amore.

All’ora del tramonto capita sovente di avvertire nell’aria un piacevole odore di fumo da stufa a legno, retaggio aromatico di un'infanzia campagnola figlia di un passato contadino. Nei ricordi di quei tempi la città appariva sempre come un bagliore lontano: una meta da sognare più che un luogo dove vivere. Sui banchi del mercato l’arancione delle albicocche viene sostituito da quello dei mandarini e nelle pagine interne dei giornali nazionali finalmente si riparla di Robur, perché, nonostante tutto, dopo dieci giornate siamo primi in classifica. Dopo aver scaldato il forno, le massaie impastano il Pan co' Santi, mentre i bambini, nascosti sotto il grande tavolo di cucina, tentano di rubare l’uvetta, prima di scappare in salotto con la bocca piena. Nelle vigne i filari di Sangiovese orfani dei loro grappoli attendono l’inverno, mentre qua e là un capriolo scappa veloce, spinto verso il bosco dalla corsa sfrenata di un cane inferocito. Come in video a circuito chiuso, i giorni si alternano con esasperante ripetizione. Soltanto le emozioni della domenica riescono a lenire la noia della settimana.
Forse non era proprio questa la vita che sognavamo da piccoli, ma considerando che potrebbe andare peggio, si prende quel che viene senza lamentarci. Accontentandoci di quel poco che abbiamo, che visto da altre angolazioni potrebbe addirittura fare gola a qualcuno.
Domenica arriva il Monza e sulla grande giostra del Rastrello si riaccende la musica. Monza la ricordo per tre cose: la monaca, le corse con le macchine e il goal di Simonetta, che raddoppiando la rete segnata da Diego Bortoluzzi ci permise di avere meglio sulla compagine brianzola una ventina di anni fa. Se quel pomeriggio di settembre qualcuno mi avesse detto che circa vent’anni dopo saremo stati ancora qua a parlare di un Siena-Monza autunnale di Serie C, non avrei avuto nessuna esitazione a crederci, perché al tempo i nostri orizzonti erano confinati all’interno di emozioni fugaci, che duravano giusto lo spazio di un girone e terminavano in una fredda giornata di gennaio al terzo goal del Brescello (hai detto il Liverpool...). Se poi però il nostro novello Nostradamus avesse aggiunto che nello tempo intercorso fra le due partite si sarebbero rincorsi quindici anni di Serie A e B, lo avremmo mandato serenamente affanculo. 
Gli anni '90, per noi poveri amanti delle ragazze e della Robur - in percentuali tristemente spostate troppo a favore della seconda - erano gli anni de "il sabato tendenza e la domenica penitenza", dove la delusione passava dal di due di picche notturno allo scialbo 0-0 in casa pomeridiano, senza soluzione di continuità. Uscire con una ragazza era difficile quanto andare in Serie B. Meno male c’era l’alcol ad anestetizzare tutto e distorcere un mondo che sembrava aver messo la mia faccia sulla porta, di fianco alla scritta: "Io non posso entrare".

Quel settembre di tanti anni fa, tuttavia, uscendo dallo stadio dopo aver vinto contro il Monza, da qualche parte dentro la nostra testa bacata da diciottenni, vergini della vita e aridi di sogni, cominciò piano piano a farsi largo la sensazione che forse qualcosa poteva cambiare. La Robur era prima in classifica, la gente stava lentamente tornando allo stadio e le sciarpe bianconere sventolano orgogliose al centro della Curva Jolly. Peccato poi che nel giro di qualche mese la luce si spense: Bortoluzzi smise di inventare, Puccinelli si dimenticò di sgroppare sulla fascia e Simonetta si accorse di non essere più quello dei tempi buoni. Il sogno di un qualcosa di bello svanì velocemente, ricordando a tutti che "la Serie B, un po’ come il paradiso, è la meta di chi non ci va".
Durante quelle settimane, divise dall’eccitazione del primato e gli spifferi maligni del "tanto 'un dura" (toh, che coincidenza, le stesse parole uscite dalle stesse bocche, oggi come allora), ebbi la sensazione di giocare al gioco della sedia. Badate bene, non ho detto della bottiglia, perché quest’ultimo mi ha sempre visto prima riserva o spettatore non pagante, ma proprio della sedia. Che poi era quel gioco organizzato dalle mamme durante i compleanni al tempo dell’asilo, dove venivano messe in circolo un numero di sedie inferiore a quello dei partecipanti, i quali al termine della musica dovevano preoccuparsi di trovare velocemente un posto a sedere, pena l’esclusione dal gioco. Personalmente, da buon sfortunato al gioco e sfortunato in amore venivo costantemente estromesso ai trentaduesimi di finale, come i tennisti italiani agli Internazionali di Roma. Seguire la Robur quell’anno mi sembrò un po’ come il gioco della sedia, perché al 90° minuto di ogni partita perdevamo gente: il bel pubblico di settembre presto divenne un lontano ricordo. "Vuoi vedere che questa volta rimango l’ultimo e vinco io?", mi chiesi una gelida domenica di febbraio, quando i pochi superstiti rimasti si diressero verso la tribuna coperta (che non si chiamava ancora Danilo Nannini poiché al tempo di morire non ne aveva nessunissima voglia) per muovere l’ennesima contestazione alla proprietà. Ma che ci andrai a fare, mi chiedevano più tardi i miei amici al Papillon - meraviglioso locale di provincia nel quale la domenica pomeriggio potevi essere chiunque (a parte il fatto che se bevevi due creme di whisky il tu' babbo lo risapeva prima che avessero iniziato a farti effetto) - attratti soltanto dalle ricche e famose squadre del nord, seguendo le quali ogni domenica erano costretti a giocare in trasferta. Io li guardavo in silenzio, finivo il mio drink e pensavo: se è vero che il mondo gira, un giorno vi rimangerete tutto. Peccato che anni dopo quelle stesse persone che ridevano di me divennero misteriosamente quelli del "io ci so' sempre venuto perché mi ci portava il mi' babbo da piccino", anche se l’anno della Serie B i cori li impararono verso la fine di febbraio. Tra una Camel e un Caffè Sport, io annuivo sorridendo, tenendomi ben stretta la sedia che nel tempo mi ero guadagnato.

Siena - Monza: un'ultima fatica prima della partita delle partite, la prima veramente importante dopo anni mediocri. In uno stadio che auspichiamo possa tornare velocemente a riempirsi, starà a noi decidere se spiccare il volo o tornare a strisciare nei meandri di una palude che sa di già visto. Avanti Robur!

Tutti uniti insieme avanzeremo.


Mirko

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